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ABBAYE DE FONTEVRAUD
A partire dalla sua costruzione nel 1101, l’Abbazia di Fontevraud è stata dedicata ad innumerevoli funzioni: da complesso monastico stabilito da Roberto d'Arbrissel a sede dell’ordine di San Lazzaro, da carcere politico in epoca napoleonica a centro culturale coordinato dal Ministero della Cultura Francese. Una persistenza e permanenza resa possibile dal suo valore costitutivo, dalla sua prepotente composizione di storia e di arte, dal suo essere parte attiva della memoria del paesaggio della Valle della Loira. Ora l’Abbaye Royale, a cui non è mancato il riconoscimento a patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2000, è anche un hotel insinuato tra le massicce murature medioevali e le sue volte a sesto acuto, tra i quadriportici del cortile e le tradizionali aperture dai serramenti a scacchiera. Il progetto per la trasformazione di una parte della ormai quasi millenaria istituzione religiosa è trattata da Jouin e Manku come un vero e proprio manifesto; diventa programma possibile di conservazione del patrimonio, modello e regola ripetibile formata da pochi ingredienti: la considerazione critica degli elementi, la valutazione dei vincoli come opportunità, la giusta proporzione tra vecchio e nuovo che non deve portare uno dei due poli a prevalere sull’altro. I frammenti del passato sono ricomposti e resi fruibili e ogni dettaglio materico è scelto perché promotore di un nesso ideale con quanto trascorso. Nella zona adibita a bar, per esempio, quinte basse rivestite in tessuto blu notte si giustappongono alle pareti in tufo per impedire il loro deterioramento e per identificare con più enfasi la nuova funzione; il tessuto impiegato per i paralumi delle lampade ricorda quello tipico del saio mentre il gioco dei banconi e delle sedute raccolte sembra evocare il tema dell’altare e dei piccoli confessionali. Alcuni arredi ricalcano poi nelle forme le tradizionali panche di preghiera ma, rivestiti dall’imbottitura, le reinterpretano con contemporanea raffinatezza. I tappeti sono semplici stuoie monocromatiche appoggiate sul nuovo assito in resina cementizia della medesima tonalità del tufo e molti arredi sono stati disegnati appositamente nella continuità filologica con il complesso monastico e commissionati ad artigiani locali.
Distribuite nelle diverse parti dell’impianto religioso, le 54 camere dell’hotel devono la loro caratterizzazione unica al contesto architettonico e spaziale circostante: alcune sono sviluppate su due livelli, altre invece sono arricchite da particolari coperture in travi di legno o godono di soffittature altissime. Il riferimento alla severità e all’austerità della vita religiosa è resa palese dalla scelta di un arredo essenziale che non contempla nulla che non sia strettamente indispensabile. Gli ampi spazi privati inondati dalla luce naturale hanno pareti chiare intonacate; quella retrostante il letto è definita da una superficie tessile suddivisa in moduli che diviene un delicato motivo ornamentale a ricordo delle tuniche indossate dei monaci. Non esiste guardaroba e la configurazione immaginata da Patrick Jouin e Sanjit Manku costringe l’ospite a fare i conti con ciò che è davvero irrinunciabile.
Suite 172, dicembre 2014